Archivio mensile: ottobre 2019

La vita accanto di Mariapia Veladiano

Ho sempre letto libri scelti e comprati da me. Un libro lo acquistavo e lo leggevo. Ne leggevo la recensione, ascoltavo chi me ne parlava e poi lo acquistavo. I libri regalati, per qualche motivo finivano in coda alle mie letture e spesso lì ci rimanevano. Inevitabilmente, finivo per scegliere qualcosa che si somigliava, che mi somigliava. Soltanto negli ultimi anni ho iniziato a leggere libri prestati e consigliati da amici o colleghi, condivisi tra noi: un’apertura che mi ha permesso di leggere libri che da sola, forse non avrei mai scelto. L’apertura alla condivisione dei libri rimanda alla maggiore disponibilità nei confronti degli altri, ha a che fare con la fiducia, con la possibilità di aprirsi, di conoscere e di scoprire di sé, dagli altri. Straordinariamente, tutto questo ha a che fare con il libro di cui desidero parlarvi oggi, che mi è stato prestato:  s’ intitola La vita accanto di Mariapia Veladiano.

Inizia con queste parole: Una donna brutta non ha a disposizione nessun punto di vista superiore da cui poter raccontare la propria storia. (….). La si racconta dall’angolo in cui la vita ci ha strette, attraverso la fessura che la paura e la vergogna ci lasciano aperta giusto per respirare, giusto per non morire. Una donna brutta non sa dire i propri desideri. Conosce solo quelli che può permettersi. (…) si tratta di esistere sempre in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo. Io sono brutta. Proprio brutta.

Rebecca, la protagonista del romanzo, nasce brutta. Attorno a questo, sembrano svilupparsi le relazioni delle persone che le stanno accanto. La madre che, sin dalle prime pagine, prende le distanze da questa figlia nata brutta: mia madre si è messa a lutto quando sono nata, la sua femminilità si è seccata crudele e veloce (..) Dopo che è tornata dall’ospedale non è più uscita di casa, mai più. Non mi prese in braccio, nessuno osò proporle di allattarmi. Il padre che sin dall’inizio tenta di proteggere la figlia, tenendola al riparo dagli sguardi delle altre persone, riparandola dalle cattiverie, dai giudizi. Una protezione che corre il rischio di privarla della propria libertà, della propria autonomia. Per molti anni Rebecca esce soltanto la notte da casa, per non farsi vedere. La tata Maddalena, che le vuole molto bene pur piangendo sempre (…)mi amò da subito con la forza di un bisogno. La zia Erminia sembra l’unica a vedere la nipote al di là del proprio aspetto fisico: è lei che cerca di convincere il padre ad inserirla all’asilo per toglierla da quello stato di isolamento. E’ sempre lei a vedere nelle mani della nipote, quelle di una musicista. Di una pianista.

L’incontro con la musica diventa l’occasione  per Rebecca di rivedere la propria storia di vita, le relazioni fino a quel momento. Di rinascere o forse di nascere. Incontrando per la prima volta quella madre oramai persa. Grazie ai racconti della signora De Lellis, la madre del maestro di piano, Rebecca scoprirà un’altra verità: la depressione della madre dopo la sua nascita non era stata compresa “dopo la mia nascita la vita di mia madre era diventata un piano inclinato. Nessuno le aveva afferrato la mano dall’alto oppure lanciato una corda. Per egoismo, impossibilità, inadeguatezza. Nel suo deformato mondo interiore mio padre era il bugiardo il cui amore riguardoso e impotente otteneva l’unico effetto di serrare il cerchio del suo delirio e per questo veniva punito con il silenzio”. Il padre aveva risposto con debolezza, impotenza. La zia Erminia, dal canto suo, aveva messo in scena il proprio egoismo, la propria vendetta nei confronti della cognata colpevole di averle portato via il fratello. L’aspetto fisico di Rebecca era diventato così importante perché dietro ad esso bisognava nascondere un’altra verità: l’infelicità, le incomprensioni, verità inconfessabili e che facevano paura. La paura rende egoisti, ciechi e sordi.

Rebecca non era stata mai veramente vista: vederla brutta, deformata, impresentabile era stata l’unica possibilità delle persone accanto a lei per salvarsi dalle proprie bruttezze, deformazioni, parti di sé impresentabili. Spostare tutto sulla piccola Rebecca. Mettere il brutto fuori da sé.

Penso a quante Rebecca. Alla difficoltà di comprendersi. Alle tante verità. Commuovono le parole che descrivono la madre nell’impossibilità di far sentire la propria voce, di farsi comprendere: “Mi parlava di lei incatenata alla rupe del suo male nero sopra un’isola abbastanza vicina per vederti e troppo lontana per toccarti, con l’anima spillata dagli sguardi che i tuoi occhi non avevano il coraggio di rivolgerle. Lei vedeva i tuoi passi incerti e davvero avrebbe voluto tenderti le braccia e sostenerti quando sei caduta. E non solo sostenerti ma anche in braccio farti saltellare la sera sulle scale e posarti leggera sul tuo letto ubriaca di voli. Ma non aveva potuto. Le braccia le aveva alzate e ben tese, oh se le aveva tese, si era buttata in avanti gridando aiuto, aiutatemi, cade la mia bambina. Ma l’isola in cui era prigioniera aveva ritirato le rive all’improvviso e l’acqua si era fatta più larga e profonda. Non ti aveva salvata e dicevano tutti intorno che non aveva voluto, nessuno aveva visto le sue braccia alzate e sentito l’urlo della sua volontà”.

Quante madri come la madre di Rebecca.

Prima di concludere, mi sono chiesta il senso del titolo. La vita accanto. Ho trovato la risposta nelle parole della protagonista:  la musica afferrò la mia vita. La consapevolezza tutta nuova che ci si aspettava qualcosa da me riempiva i miei giorni di sentimenti che non conoscevo e che prendevano il posto di quella specie di attesa vuota in cui prima le mie energie si erano congelate. Forse potevo dimostrare che c’era del buono in me, che mi si poteva voler bene perché valevo e non solo per un senso confuso di protezione o di colpa.  

Credo che questo libro racconti la difficoltà di incontrare la vita. Di viverla. Ma racconta anche che ci sono degli incontri e non solo di persone, ma anche di sentimenti e di passioni, in grado di aiutare a superare quel senso di impossibilità, di  non poterne fare parte, di non essere all’altezza, di non avere niente di buono. Incontri in grado di rendere possibile la vita. Non accanto.

Il segnalibro, la piccola Rebecca…..

Buona lettura!

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femm. di Paola Rivolta

Il libro che voglio presentarvi oggi s’ intitola femm. ed è stato scritto da Paola Rivolta.

Diciotto racconti che narrano di diciotto donne diverse tra loro. Diciotto nomi. Diciotto luoghi e culture così diverse nelle quali vengono ambientate le storie: si passa dalla provincia italiana con i suoi odori e sapori tipici, alla metropoli americana, alla città russa e a luoghi che potrebbero essere ovunque. Un senso di discontinuità che ti obbliga a cercare tra le pagine qualcosa che tenga unite le storie. Al termine della lettura, quel senso di frammentazione mi ha spinto a pensare a tutti quei racconti come ad un’unica storia. Che narra la complessità dell’essere femmina.

Se la parola femmina rimanda etimologicamente a colei che allatta e che genera, mi sono chiesta se la scelta del titolo Femm. non abbia a che vedere con una femminilità problematica, non del tutto risolta (femm. e non ancora femmina) come le donne protagoniste dei racconti: donne alla ricerca delle proprie radici, un po’ perse, donne a cui viene negato l’amore, donne che tradiscono e che vengono tradite, donne che uccidono, donne amareggiate, tormentate, perfide. Sono madri, amanti, sorelle. Femmine che si allontanano da quell’idea di femminilità culturalmente richiesta, e che tentano di dare voce alla complessità dell’essere femmina, con le sue ambivalenze, talvolta la sua tragicità : significativo a questo proposito il racconto  Con la speranza che l’abusare del proprio corpo convincesse la natura. La protagonista ha una figlia che non riesce ad amare. E si tormenta alla ricerca di una qualche emozione, del desiderio di abbracciarla come pensavo avrebbe dovuto essere normale. L’unica cosa che invece provavo era un peso sul cuore, un’angoscia che riuscivo a gestire solo quando ero lontana da lei. E in quella maternità manchevole e differente si ritrova compresa dalla propria madre. E una domanda: Cos’era il suo? Un invito a rassegnarmi al destino di essere madre?

Nella seconda di copertina trovo scritto questo: di fronte all’ambiguità della natura umana resta nel lettore un senso di smarrimento che lo costringe a cercare tra le parole lette una rassicurazione morale, o almeno una qualche certezza. Io non lo so, non credo di essere d’accordo: forse invece leggere di queste ambivalenze, ambiguità, tragicità a volte anche un po’ caricaturali (vedi la donna killer) ti permette di alleggerirti da quell’ideale sociale e culturale richiesto alle femmine e che fa sentire sempre in colpa e inadeguate. Forse è proprio nella possibilità di avere accesso a tutte queste sfumature che da femm. ci si potrà avvicinare all’essere femmine.

Il segnalibro rappresenta un tulipano giallo……un tempo questo fiore rappresentava l’amore irrimediabilmente infelice, un amore senza speranza, ma del corso degli anni, il significato si è evoluto verso un pensiero di allegria. Anche in questo fiore una pluralità di significati.

Alla prossima.

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L’esclusa di Luigi Pirandello

Girando per mercatini dell’usato sono solita curiosare nelle bancherelle dei libri, alla ricerca di qualcosa che mi colpisca, meno noto o anche dimenticato. Prima dell’estate, in una di queste situazioni(in copertina c’è ancora il prezzo in lire!!!!), ho trovato il libro che vi presento oggi. Si tratta di L’esclusa di Pirandello, il suo primo romanzo.

Se dopo aver letto che si tratta di un libro di Pirandello, vorreste cambiare pagina, vi chiedo di arrivare alla fine di questa recensione perchè pur essendo il meno noto tra i suoi libri, il più datato è decisamente attuale. Parla di giudizi, di esclusione, di condanne sociali.

Finito di scrivere nel 1883, fu pubblicato a puntate nel 1901. La trama è questa: sorpresa dal marito a leggere la lettera di un uomo, le cui profferte amorose aveva in realtà sempre respinto, Marta Ajala la protagonista di questo romanzo è cacciata innocente da casa. “Esclusa” dalla società in cui vive per avere perso il posto che le era stato assegnato, un posto di moglie sottomessa e annoiata nel quale viveva a disagio ma che la rendeva rispettabile di fronte alla gente, vi sarà, paradossalmente, riammessa solo dopo aver compiuto quella colpa di cui era stata ingiustamente accusata. Alla fine, dunque, Marta si rassegna ad essere di nuovo succube del marito, per quella assurda, inesorabile legge che decide i destini degli esseri umani senza tenere conto della loro volontà.

Il libro è ambientato in Sicilia alla fine dell’800, ma in verità Marta non ha tempo e luogo: è una donna che potrebbe vivere oggi, in qualunque parte del nostro paese. Un romanzo che parla di donne che devono ricoprire ruoli assegnati socialmente, sottomesse, annoiate, ma al loro posto. Perché questo le rendeva rispettabili agli occhi della gente. Marta viene condannata per non essere rimasta al suo posto: una condanna sociale a cui viene esposta e che si inserisce in una cultura ripiegata su se stessa e maschilista. Per tutto il romanzo Marta lotta ostinatamente per il proprio riscatto morale ed economico. Ma senza gioia. L’ambiente di cui fa parte, comunque, ha deciso di collocarla tra i vinti.

Colpisce il dialogo con la madre, quando parlano della riconciliazione con il marito:

  • Vuole riconciliarsi, è vero? – disse
  • Sì,sì – affermò con gioia la madre. Ma le cadde subito, quella gioia, di fronte al cupo aspetto di Marta.
  • Ti pare possibile ormai? – domandò questa, lasciando cadere le parole e guardandola negli occhi.
  • Come! Perché? – esclamò la madre, stupita.
  • Perché? Egli mi rivuole, non lo voglio più io.
  • Come! E non pensi …ma come? – balbettò la madre – Se questa è per te la riparazione! Non vedi che ti si rende giustizia in faccia al mondo? E vuoi ricusarti? Come?
  • Giustizia…riparazione….- la interruppe Marta – tu ci credi mamma? (…..)
  • …Mamma è inutile! Io dico: credi tu che quello che mi hanno fatto, prima lui, Rocco, poi il babbo, sia riparabile? No mamma, no: non si ripara…io rimarrò, stanne pur certa, quella che sono, né più né meno, nel concetto della gente….Sai che si dirà? Si dirà c’egli ha perdonato; nient’altro! e rideranno di lui, come d’un imbecille…Io sarò sempre la colpevole….

Colpevole prima ed esclusa, poi. La parola che dà il titolo al romanzo viene usata dall’autore quando in realtà sembra pronta la rivincita di Marta: la lotta che le ha fatto conquistare quel tanto desiderato posto di maestra, grazie al quale mantenere la madre e la sorella, si accompagna da vissuti di solitudine, di isolamento, dalla consapevolezza dell’impossibilità di reinserirsi nella società. Un personaggio complesso apparentemente decisa e combattiva, in grado di raggiungere anche risultati, ma mai in grado di risolvere i propri conflitti interiori e sempre dominata dalle circostanze. Alla fine, dunque, Marta si rassegna ad essere di nuovo succube del marito, per quella assurda, inesorabile legge che decide i destini degli esseri umani senza tenere conto della loro volontà.

Mi piacerebbe che questo libro fosse consigliato nelle scuole, al posto dei ben più noti dello stesso autore. Così drammaticamente moderno. Spero che la sua lettura insieme a tante altre, possa portare a scrivere nelle storie di donne future, finali diversi.

Il segnalibro rappresenta Marta: occhi spenti, dietro a quel tentativo non riuscito di fiorire….

Buona lettura!

 

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L’eleganza del riccio di Muriel Barbery

Ho avuto questo libro sul comodino per tre anni. lo comprai appena divenne un caso editoriale. Ho fatto diversi tentativi ma non sono mai riuscita ad andare oltre la decima pagina. C’era qualcosa di disturbante in quelle prime pagine: mi chiamo Renée. Ho cinquantaquattro anni…sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesionistiche, l’alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante. E l’altra protagonista, Paloma: Io ho dodici anni….la gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia. Mi chiedo se non sarebbe più semplice insegnare fin da subito ai bambini che la vita è assurda…per questo ho preso una decisione: alla fine dell’anno scolastico, il giorno dei miei tredici anni, il 16 giugno prossimo, mi suicido.  

Una cara amica recentemente mi ha incoraggiato a riprovarci, ad andare oltre quel disturbo. È stato un grande regalo. E spero lo possa essere anche per voi. L’eleganza del riccio racconta la storia di molti: la difficoltà di mostrarsi per come si è, assumendo uno spirito oppositivo e provocatorio come quello di Paloma; nascondersi per il timore di coprire altre posizioni, per una convinzione più o meno inconscia di non poterselo meritare.

Il disturbo iniziale lascia spazio alla tenerezza, alla semplicità anche come scelta narrativa e stilistica; l’incontro con il giapponese apre ad un crescendo di piacere, desiderio, in cui arrivi a credere nel cambiamento. Alla possibilità che qualcosa possa cambiare. Il finale, un drammatico ritorno alla realtà. Profetiche le parole di Renée: ero destinata alla punizione se solo avessi osato trarre vantaggio dalla mia mente a dispetto della mia classe sociale. In definitiva, poiché non potevo smettere di essere ciò che ero, la mia unica possibilità mi parve quella del segreto: dovevo tacere ciò che ero e non intromettermi mai nell’altro mondo. Un finale che, d’altra parte, spinge la giovane Paloma ad incontrare il mondo. A scegliere la vita: che espone a disperazione, ma anche ad istanti di bellezza.

Il segnalibro, non so se abbia a che fare con il libro…..ma il mio tentativo di descriverlo è stato interrotto da una spinta creativa, quasi urgente, che ha preso questa forma….forse la rappresentazione di ciò che era stato sempre nascosto…..un’ elegante bellezza. Alla prossima…..

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Occhi felici di Ingeborg Bachmann

Ingeborg Bachmann è considerata uno dei grandi poeti moderni. Questo testo, Tre sentieri per il lago, è uno tra i suoi scritti in prosa. Vi ho segnalato questo libro in particolare per un racconto, da quando l’ho letto ogni tanto mi torna in mente, in momenti i cui le cose che accadono attorno a noi non verremmo viverle, non vorremmo vederle. Il racconto si intitola Occhi Felici. Miranda, la protagonista ha il sistema ottico malato. E lo considera “un dono del cielo” perché la donna nonostante abbia la prescrizione di occhiali preferisce non comprarli. Preferisce non vedere i particolari del mondo che le gira accanto, si stupisce di come gli altri uomini riescano a sopportare quotidianamente le cose che vedono e che sono costretti a vedere. “….lei non squadra nessuno, non fotografa la gente con uno sguardo occhialuto, ma se la dipinge in un modo tutto suo, frutto d’altre impressioni…” e ancora “il mondo velato è, nonostante tutto, l’unico mondo dove lei sei sente a suo agio…il mondo più netto, che sia di cristallo, di vetro leggero o di plastica, o visto attraverso le più moderne lenti a contatto Miranda non l’accetterà mai” . Dove tutti s’affannano a cercar chiarezza, Miranda si ritrae: no, questa ambizione non ce l’ha. Ma sono altre le fragilità della donna: di confronti che pur se velati sono sempre confronti, di un amore che non sente di meritare, che prima o poi perderà. Che perde di vista. Leggete il racconto e tenete sempre in mente la frase con cui si chiude.

Il segnalibro ha cercato di rendere l’idea di un mondo con forme e contorni indefiniti. Come quello che preferisce guardare Miranda.

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Pastorale Americana di Philip Roth

Il primo libro che voglio condividere è Pastorale Americana di Philip Roth. Nella quarta di copertina Alessandro Baricco lo definisce “Il libro più bello degli ultimi anni della letteratura americana ” e vi troviamo una breve descrizione. Seymour Levov è un ricco americano di successo:al liceo lo chiamano “lo Svedese”. Ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e gioie familiari. Finchè le contraddizioni del conflitto in Vietnam non coinvolgono anche lui e l’adorata figlia Merry, decisa a portare la guerra in casa, letteralmente. Un libro sull’amore e sull’odio per l’America, sul desiderio di appartenere a un sogno di pace, prosperità e ordine, sul rifiuto dell’ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.

Questo libro nel 1997 ha vinto il Pulitzer per la letteratura e nel 1998 il più alto riconoscimento americano per la narrativa. Premio più che meritato. A mio parere, Roth è la narrativa. Al di là dei contenuti, della storia, lo stile narrativo di Roth riesce a farti sentire dentro la storia, con i sentimenti che riesce ad evocare: un protagonista  che per ogni cosa apre molte, infinte associazioni, dettagliate, piene di particolari, esasperanti. Tutto questo, inconsapevolmente, per non entrare in contatto con quello che succede dentro e fuori di lui, senza mai entrare veramente in contatto con chi gli sta accanto. La bomba. Che ti obbliga con violenza a renderti conto di chi hai davanti. Guardami, guarda chi sono, chi sono diventata! Un’esplosione. Una reazione che senti nascere dentro di te mentre leggi le infinte descrizioni di questo uomo incapace di reagire da cui ti senti non visto. Monologhi, quasi, senza fine. O meglio, la sua fine.

Nel segnalibro, un’apparente normalità che viene interrotta da un’esplosione.

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